È sabato mattina, ci siamo lasciati una settimana di lavoro alle spalle.

Per questo ultimo appuntamento della prima rassegna di visite guidate intitolata Tessuto Culturale Prato e organizzata dall’Associazione The Landladies Concierge di cui faccio parte.

Ci siamo dati appuntamenti all’anfiteatro di Santa Lucia, Prato nord, è un po’ nuvoloso, tuttavia i partecipanti iniziano ad arrivare.

Cosa facciamo oggi?

Non il solito tour, ma un’esperienza che ci condurrà alle origini del territorio pratese e delle sue risorse naturali, le quali, sapientemente modellate dall’ingegno umano, hanno alimentato la nascita dell’industria tessile.

L’anfiteatro di Santa Lucia, si trova lungo la riva destra del fiume Bisenzio, e qui ha inizio il nostro percorso di visita insieme a Roberto Dei, presidente dell’Associazione “Insieme per il Recupero della Gualchiera di Coiano”.

Introduco il tema della visita che sarà: tutto inizia con l’acqua, in questo caso possiamo affermare che tutto inizia con il fiume Bisenzio. Da questo luogo, infatti iniziamo a comprendere che questo flusso d’acqua è stato di fondamentale rilevanza per lo sviluppo del territorio.

Apprendiamo che fino dal Medioevo l’uomo ha cercato, con sapiente opere d’ingegno, di modellare il territorio per poterne trarre maggiori vantaggi.

In località Santa Lucia, a cavallo tra la riva destra e la riva sinistra del fiume Bisenzio troviamo la diga del Cavalciotto, il sistema pratese di presa dell’acqua dal fiume. Da qui si incanala il “Gorone” che  si in località “la Crocchia”, corrispondente all’attuale piazza del Mercato Nuovo, si dirama cinquanta chilometri di canali che attraversano il centro storico di Prato per poi confluire nel fiume Ombrone.

Il primo mulino alimentato dal Gorone, di cui sia abbia testimonianza, risale agli inizi del secolo XI, tuttavia la loro presenza è destinata a crescere, così come testimonia lo statuto dell’Arte dei Mulini della riva destra del Bisenzio, del 1296 che ne annovera 67.

Iniziamo il nostro itinerario che si articola nel centro abitato di Santa Lucia e tra varie abitazioni, e scopriamo che vi è stato un piano di recupero che ha permesso di leggere ancora la storia del territorio. Passiamo davanti ad un complesso di abitazioni, la cui forma allungata, ci permette di comprendere che si trattava di un antico mulino del XIII secolo, il mulino della Strisciola.

Passiamo da qui per andare a vedere la parte retrostante e soprattutto la pescaia.

Ci fermiamo davanti all’ingresso della diga del Cavalciotto per comprenderne l’estensione e per ammirare il muro di contenimento, un vero e proprio testimone storico della portata delle acque, del cui progetto si interessò Galileo Galilei nel XVII secolo.

Entrati nel Cavalciotto, ci affacciamo dalle aperture circolari e qui vediamo la parte a monte della diga. Nell’ambiente interno si trovano tre argani che sollevano tra paratie dette calloni, uno più piccolo per lo scarico a fiume dalla pescaia, un secondo callone per la sgrigliatura, ovvero per la pulitura da tutti i detriti che le acque portano con sé. Esiste poi un terzo callone che alimenta il Gorone e che serve quindi per la regolazione delle acque.

Una volta visitata la diga, usciamo e lungo il percorso troviamo una abitazione privata, che fu l’abitazione del callonaio, ovvero del guardiano preposto ad aprire e chiudere i calloni ovvero le paratie della diga, in base alle condizioni atmosferiche e alle necessità del territorio.  Dalla targa apposta sulla casa apprendiamo che il sistema gorile era ancora attivo nel XIX secolo ed è stato dismesso nel 1983. In questa data il sistema di gore e canali divenne parte del sistema fognario pratese.

Ci spostiamo quindi per visitare il centro residenziale Abatoni, il cui nome ci ricorda come quello che è adesso un complesso residenziale e lavorativo, fu proprietà degli Abati di Sant’Agostino.

L’interessante piano di recupero urbanistico ha messo in luce come il mulino degli Abatoni fosse attraversato dalle acque del Gorone e come quest’ultimo alimentasse le ruote orizzontali del mulino.

Apprendiamo infatti che nel nostro immaginario il mulino è rappresentato con una ruota verticale, in Italia invece è diffuso quello a ruota orizzontale, detto anche a ritrecine.

Riprendiamo il nostro percorso per scoprire la perla rara di Prato: la gualchiera di Coiano, testimonianza significativa di un opificio alimentato dal fiume Bisenzio a partire dal 1180 e di proprietà della Pieve di Santo Stefano, oggi duomo di Prato e rimasto in attività fino agli anni Novanta del 1900.

Soltanto nel 1998  il proprietario il signor Ricceri, vendette l’edificio al Comune di Prato per iniziare un piano di recupero dello stesso.

Attraversiamo il Viale Galileo Galilei per seguire il corso del Gorone  e ci troviamo di fronte ad un partitoio, che divide il canale in due, permettendo così di alimentare la gualchiera e un mulino poco distante.

Ma cos’è una gualchiera? Insieme a Roberto Dei scopriamo che questa macchina per la follatura dei pannilani fu introdotta in Italia dai Longobardi a partire dal V secolo. Si trattava di una macchina costituita da due ruote, movimentate in questo caso dall’acqua del Gorone, con al centro un albero che azionava i magli che battevano sul tessuto all’interno dei trogoli e con l’aggiunta della terra follona e più anticamente anche con l’aggiunta di orina di cavallo. Questo procedimento consentiva di ottenere un tessuto più compatto e morbido alla mano ed impermeabilizzato.

Il recupero di questo gioiello dell’architettura industriale si deve all’Associazione “Insieme per il Recupero della Gualchiera di Coaino”, fondata nel 2016,  i cui volontari si sono attivati alacremente per restituire alla collettività un pezzo di storia del lavoro pratese che affonda le sue radici nel Medioevo.

Entriamo all’interno della gualchiera e troviamo all’interno una serie di macchine che erano alimentate da cinghie di cuoio, attaccate all’albero maestro, azionato dalla forza idraulica delle acque del Gorone.

Tra queste notiamo le fole, inventate da un pioniere dell’industria tessile del XIX secolo, stiamo parlando di Giovan Battista Mazzoni, imprenditore che dopo avere studiato alla Sorbona, tornò a Prato con un bagaglio notevolissimo di conoscenze che non esitò a mettere in pratica, costruendo un primo nucleo produttivo nell’ex monastero di Sant’Anna in Giolica. Le fole messe a punto da Giovan Battista Mazzoni, erano innovative ed ai martelli per pestare i tessuti, sostituivano i cilindri, lo stesso principio è ancora utilizzato nei macchinari attuali.

I macchinari della seconda rivoluzione industriale nel primo Dopoguerra non erano più sufficienti a garantire una produzione costante, in quanto sfruttando ancora questi ultimi la forza idrica, erano ovviamente soggetti alla presenza dell’acqua che era meno abbondante nel periodo estivo. Per ovviare a questo problema, la famiglia Ciolini nel 1936 impiantò un motore a sincrono con reostato di avviamento della casa Brown Boveri.

Il nostro viaggio di oggi non è stato lontano da casa, ma ci ha portato a compiere un itinerario sostenibile, facendoci viaggiare indietro di quasi mille anni.